I diversi aspetti e la Medicina Narrativa
Innanzitutto premetto che quest’argomento è attualmente di grande interesse e stanno fiorendo: corsi, convegni, aggiornamenti, libri, riviste e quant’altro che lo trattano in modo minuzioso e completo. Pertanto non penso di riuscire ad aggiungere molto dal punto di vista teorico a quanto voi già conoscete. Desidero invece soffermarmi su alcuni aspetti di questo difficile tema che spesso, a mio avviso, non vengono sufficientemente considerati.
Il contesto
Innanzitutto occorre ricordare che la comunicazione medico-paziente può avvenire in contesti estremamente diversi. Il medico può essere quello di famiglia, uno specialista consultato occasionalmente, uno specialista ospedaliero che cura il paziente per una specifica patologia (es. un oncologo che si occupa di chemioterapia), un medico del lavoro, un mutualista, gli esempi che potrei fare sono infiniti. Ma esistono anche diversi tipi di pazienti che sono affetti da diverse patologie, si può andare da un semplice raffreddore ad una malattia grave oncologica ma anche di altra natura. Ed allora ci si potrebbe chiedere se ci devono essere molteplici tipi di comunicazione diversi a seconda delle varie situazioni. La risposta è negativa infatti il contenuto della comunicazione può essere diverso a seconda della situazione ma una particolare attenzione deve essere dedicata al “modo con cui si comunica”.
Comunicazione verbale e non verbale
Certamente tutti voi sapete che esistono due diversi tipi di comunicazione cioè quella verbale e quella non verbale, che la comunicazione è sicuramente diversa a seconda che l’interlocutore sia ad esempio un bambino, un anziano, un demente, che la comunicazione della diagnosi e della prognosi sono diverse, che il luogo dove si comunica deve essere riservato e tranquillo, che il linguaggio usato nella comunicazione deve essere semplice ed adatto al livello di educazione e cultura dell’interlocutore, ma vi siete mai chiesti quale importanza può avere “il silenzio nella comunicazione?”. Io penso di no.
Non avete forse mai pensato che la comunicazione non può esistere senza pause di silenzio e che la parola è erroneamente ritenuta l’unico, autentico strumento di comunicazione. E quindi “il modo con cui si comunica” deve comprendere il silenzio che è quella dimensione dell’essere che fa affiorare e realizza la comunicazione vera.
Con il termine di silenzio si intende la disposizione ad ascoltare colui che parla. L’ascolto presuppone sempre il silenzio, oltre il silenzio del medico deve esserci spazio per il silenzio del paziente. Comunicare nel silenzio è la più gran forma di dialogo che si possa raggiungere. Fondamentalmente, infatti, silenzio e parola sottintendono una realtà più profonda, ontologica dell’uomo: quella di relazionarsi.
La medicina narrativa
Voglio a questo punto introdurre il movimento della medicina narrativa fondato da Rita Charon di cui attualmente si sta molto discutendo e che sta assumendo in clinica sempre maggiore importanza. L’argomento è complesso ma posso affermare che il nucleo centrale della medicina narrativa è il processo di ascolto del paziente mediante una delicata tecnica che tra i vari strumenti usa in modo particolare le domande come elemento strutturante del colloquio.
Un altro punto importante su cui desidero soffermarmi è quello della “comunicazione della verità al malato”. Gli studi a questo riguardo sono stati molteplici ma ancora oggi non si è riusciti a giungere a dati definitivi.
Un elemento importante della società contemporanea è che l’uomo è sempre meno disponibile ad accettare l’idea di ammalarsi e di morire. I progressi scientifici, infatti, gli hanno dato l’illusione dell’immortalità e ciò ha creato un peggioramento della sua fragilità di fronte alla malattia e alla morte. E’ proprio la “comunicazione della verità” uno degli elementi che ha messo in crisi il rapporto medico-paziente.
Il vero problema, però, non è comunicare la verità al malato ma condividere la verità del malato.
Ma forse si presta più attenzione in questa comunicazione al tipo di paziente cioè alle sue condizioni psichiche, a volte, infatti, la paura può creare un grave disagio ed uno stato d’ansia, al suo substrato culturale, alla sua religione e non si pensa che la cosa più importante è considerare “quanto il paziente vuole sapere”.
Quindi: dire, non dire, dire fin dove il paziente vuole sapere, e, cosa estremamente importante, dire senza togliere la speranza. Ma dobbiamo chiarire cos’è la speranza e se esiste solo la speranza di guarire.
E’ per questo che la comunicazione della verità quella che il paziente vuole sapere e ci chiede, somministrata nelle dosi che meglio sopporta è l’unica arma di salvezza con cui potrà affrontare la sua malattia.
La congiura del silenzio
Certamente voi tutti conoscete “la congiura del silenzio” cioè il nascondere la verità al malato, il più spesso voluta dai suoi familiari che sostengono di volerlo proteggere. Ma in questo modo il malato vivrà in solitudine e lentamente scoprirà l’inganno, in tal modo cesserà il rapporto di fiducia sia con il suo medico che con le persone care che lo circondano. Infatti la costante dissimulazione della verità che alla fine si rivela illusoria finisce spesso per creare il vuoto intorno al malato che non riesce più a comunicare con chi gli è vicino ed a volte è costretto quando si rende conto della gravità della sua situazione a recitare la parte di colui che non sa.
Il malato deve conoscere la verità anche per un altro importante motivo cioè per poter sottoscrivere un valido consenso informato.
Non mi è possibile parlare di questo tema perché è molto complesso e richiederebbe molto spazio. Desidero però sottolineare che una delle questioni cruciali del consenso informato è rappresentata dal problema della comunicazione della verità al malato. Se, infatti, il consenso deve essere informato l’informazione deve essere completa e veritiera e volta non ad ottenere il consenso del paziente (come ben sappiamo purtroppo spesso solo per scaricare problemi medico legali in caso di danno) ma deve consolidare il rapporto curante-curato creando fra i due una stretta relazione.
I diversi modelli nel tempo
Molto brevemente vi ricordo che nel tempo ci sono stati vari modelli nella relazione medico-paziente. Il primo definito paternalistico concedeva al medico di decidere al posto del suo paziente e gli attribuiva la funzione di ministro di speranza e di conforto, autorizzato anche a tacere la verità. Il modello successivo fu quello centrato sull’autonomia del paziente cioè non è più il medico a decidere ma è il paziente che, debitamente informato, fa una libera scelta.
Esiste anche un terzo modello detto contrattuale in cui l’atto medico diviene una prestazione d’opera che deve rispondere alle richieste del paziente. Si arriva quindi al modello attuale basato sull’alleanza terapeutica. In questo il ruolo del medico è quello di aiutare il suo paziente a riflettere sui valori ed a dare un significato alle proprie scelte. Quindi il medico oltre alle informazioni “tecniche” sui rischi e benefici dei singoli interventi aiuterà il malato nelle scelte più idonee.
Rapporto emotivo ed empatia
L’ultimo punto che vorrei brevemente toccare e che spesso non viene considerato è quello del “rapporto emotivo” che il medico ha con i propri malati. Purtroppo questo può creare molti rischi non ultimo la perdita dell’obiettività che è un requisito essenziale nell’arte medica.
Spesso infatti la comunicazione della verità può avere un impatto profondo non solo, come ovvio, sul paziente e sui suoi familiari ma anche sul sanitario specie se il rapporto emotivo con il suo malato è troppo stretto. Il medico in questo caso affronta con difficoltà le proprie emozioni e in questo modo non può essere di supporto al paziente.
Conclusioni
Al termine di queste brevi riflessioni vengono ovvie le domande: “l’empatia verso il paziente è il risultato di un training oppure è un’attitudine insita nella personalità del medico?”, “la comunicazione deve essere parte integrante del corso di medicina?”.
A tali domande le risposte sono state molteplici e molto spesso discordanti. Non mi sento di trarre delle conclusioni, spero però di avervi dato lo spunto per riflessioni ed approfondimenti,
dott.ssa E.L.